Artaud, nella sua opera Il teatro e il suo doppio, considera imprescindibile per l’attore ritrovare l’accezione mistica di cui il nostro teatro ha smarrito completamente il senso. Il lavoro fondamentale dell’attore informale è quello di officiare un rito, così come l’officiava l’attore primordiale, entrando in contatto con il sacro per evocare ed invocare le forze della vita mediante il potere magico della parola.
L’attore informale è creatore di eventi e di accadimenti che egli agisce con il corpo, nella continua tensione verso il divino, comunicando l’incomunicabile e esprimendo l’inesprimibile. La sua ricerca è tesa continuamente verso l’invisibile, verso l’alto, verso la luce ed è infinita. L’attore informale, in scena, deve cercare la felicità, è questa la sua missione, essere felice. Una felicità da trasmettere a chi ne è testimone, una felicità che egli cerca hic et nunc, nel suo spazio e con la sua comunità a cui dà energia e da cui prende energia.
L’attore informale ha il dovere di credere alle sue azioni e se per primo egli stesso non ci crede, di certo i bambini non potranno credergli. La ricerca è dentro di sé in un immenso silenzio che gli donerà qualcosa di vero da esprimere.